Sandra Heber Percy intervista il noto maestro yogi Paramahamsa Prajnanananda sui temi più importanti della spiritualità.
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Sandra - Qual’e’ l’essenza di ogni religione?
Paramahamsa Prajnanananda - L’essenza di ogni religione è l’esperienza personale del Divino, che diventa possibile attraverso la disciplina spirituale. Con il termine sadhana si intende qualsiasi pratica spirituale che permetta al ricercatore di realizzare Dio ed è il metodo con il quale si può raggiungere lo scopo della vita - il traguardo - e presuppone una forma di disciplina mirata a questo particolare fine. Nel campo della religione, la sadhana include tutte le pratiche religiose, le cerimonie ed i riti che conducono alla realizzazione delle verità spirituali: possiamo dunque dire che la sadhana è l’aspetto pratico della religione. Tra religione e spiritualità c’è molta differenza.
Sandra - Iniziamo dai testi più noti: Qual è il significato della Bhagavad Gita? Qual è l’essenza del suo insegnamento?
Paramahamsa Prajnanananda - La Bhagavad Gita è una canzone. La Gita è la canzone del Signore, uno dei più famosi testi della tradizione indù, in cui Krishna, che noi riteniamo un’incarnazione di Vishnu, spiega ad Arjuna il significato dell’eterno principio della retta azione, del dovere morale. La Gita insegna che l’Assoluto, il Brahman, è armonia perfetta e che il senso di separazione o di non essere liberi (o che si deve raggiungere la liberazione), sorge solo perché ignoriamo la reale natura del Sé. Ciò nonostante, grazie alla discriminazione della conoscenza, si può realizzare il Sé.
Quando i nostri occhi non saranno più abbagliati dall’idea della materia, ci apriaremo alla luce della conoscenza e scopriremo che non esiste niente di inanimato. Ogni cosa è la manifestazione di Brahman, che allo stesso tempo è energia vitale, mente, conoscenza, beatitudine, energia divina e esistenza. Il mondo ed ogni suo oggetto sono stati creati per essere vissuti ed abitati dal Signore. La realizzazione consiste nell’abilità di riconoscere la presenza del principio assoluto, ogni evento, ogni azione, qualsiasi pensiero, nel proprio Sé e negli altri. Dio può essere paragonato ad un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte, perché Dio si manifesta ovunque.
Sandra - Quali sono le differenti scuole di pensiero che insegnano il Vedanta?
Paramahamsa Prajnanananda - Le tre principali dottrine sul Vedanta sono l’Advaita di Adi Shankara [circa 788-820 d.C.], il Vishishta Advaita [non-dualismo qualificato] di Ramanujam [circa 1200 d.C.] e il Dwaita [duale] di Madhwa [circa 1300 d.C.]. L’Advaita o scuola della non-dualità è quella più antica e più comunemente accettata. Vedanta, equivale all’insegnamento di Adi Shankara.
Sandra - Puoi spiegarmi il significato del termine “Advaita”.
Paramahamsa Prajnanananda - La parola “Advaita” deriva dal termine sanscrito “Dvait”, “due, duale”, preceduto dal prefisso “a”, che significa “ negazione”. Quindi Advaita significa “non due, non-duale” e si riferisce all’unità totale, che non prevede la possibilità di alcuna dualità.
Sandra - Il termine “filosofia” indica l’amore e la ricerca della saggezza e della conoscenza. È corretto considerare l’Adavita Vedanta semplicemente una filosofia, oppure è differente da tutte le altre filosofie?
Paramahamsa Prajnanananda - C’è una differenza fondamentale tra il Vedanta e le altre filosofie. Nel Vedanta la ricerca della verità non è lo scopo finale; dopo aver conosciuto la verità infatti, bisogna viverla e diventare la verità stessa. Il Vedanta è lo studio della nostra vera natura, dell’essenza dell’umanità e di tutta la creazione. Il suo obbiettivo è liberare gli esseri umani dall’ignoranza che li fa sentire limitati e inadeguati. Non può esser classificato come una semplice filosofia o una scuola di pensiero, piuttosto dovrebbe esser considerato una trasmissione diretta della conoscenza del Sé.
Sandra - Quali sono i tre principi fondamentali dell’Advaita Vedanta di Sankaracharya?
Paramahamsa Prajnanananda - sono:
1) Brahma Satyam: solo la Realtà Ultima è reale.
2) Jagat Mithya: l’universo è irreale.
3) Jivo Brahmaiva Na Paraha: il sé individuale (non è altro che la Realtà Ultima, l’Assoluto).
Sebbene la Realtà Ultima sia la sorgente dell’Universo, non ne costituisce una parte intrinseca. Per comprendere questo concetto, possiamo utilizzare una classica analogia. Prendiamo in considerazione la relazione tra il sole e il suo riflesso su un lago: è chiaro che il sole è la sorgente di tale riflesso, ma continua ad esistere anche senza di esso. Allo stesso modo, come il sole è l’unica vera sorgente di tale riflesso, così la Realtà Ultima è l’unica sorgente dell’intero universo, che ne è un riflesso.
Sandra - Il riflesso del sole sul lago esiste, ma è irreale, perché la “vera realtà” che lo genera è la luce del sole. La seconda affermazione, “l’universo è irreale”, intende esprimere questo concetto?
Paramahamsa Prajnanananda - Il secondo principio della dottrina di Shankaracharya non afferma che l’universo non esiste, ma che sussiste solo come il riflesso della luce del sole sull’acqua. Senza il sole non ci sarebbe alcun riflesso e senza la Realtà Ultima non ci sarebbe alcun universo. Così come il sole è indipendente da ciò che accade al suo riflesso, la Realtà Ultima non viene toccata da ciò che avviene nell’universo, sebbene ne sia la sorgente.
Sandra - E il terzo?
Paramahamsa Prajnanananda - Il terzo principio di Shankara ci ricorda che il nostro sé individuale è una manifestazione diretta della Realtà Ultima. Il Sé è la causa e la sorgente del corpo e della mente, così come la Realtà Ultima è la sorgente dell’intero universo; il Sé non è una parte intrinseca di nulla, così come il sole non è una parte intrinseca del suo riflesso. Esso è sempre presente, al di là delle apparenze illusorie, causate dalle attività e dalle modificazioni della mente. Quando il velo dell’illusione viene rimosso, il Sé viene sperimentato direttamente e poiché esso è una manifestazione diretta della Realtà Ultima, si ha un’esperienza diretta anche di quest’ultima.
Sandra - Puoi darmi una spiegazione del Brahman?
Paramahamsa Prajnanananda - L’intero sistema dell’advaita vedanta può essere riassunto in questo mezzo verso:
brahma satyam jagan mithyā jiva brahma iva nāparam.
in cui si afferma che l’Assoluto è l’unica Realtà: il mondo è un’illusione e l’anima individuale non è differente dall’Assoluto, anzi sono identici. Il mondo è una creazione della natura illusoria, una superimposizione del l”Assoluto su se stesso. A causa di tanta confusione che non amo definire ignoranza, ma solo momentanee cecità, l’anima incarnata immagina di essere diversa dalla Sorgente, dall’Assoluto Brahman e vive così in un mondo di pluralità, ritenendo di essere un’entità separata. La verità è che ogni cosa non può essere altro che della stessa sostanza dell’Assoluto Brahman, poiché tutto il creato è una sua manifestazione sovrimposta su se stesso, come un film proiettato sullo schermo, ci fa illudere di vivere una storia e dei dialoghi. La momentanea dimenticanza di chi siamo realmente, svanisce con l’alba della conoscenza, con il ritorno della memoria.
La natura illusoria del mondo, viene percepita dopo aver raggiunto un certo stadio di realizzazione. Questo fatto è considerato molto importante da Shri Shankara perché l’esperienza era per lui molto vivida. Questa natura illusoria, maya, è il gioco cosmico di Dio, il lila. Secondo molti studiosi, il termine lila include l’idea di maya e la supera. Dio è uno, ma questa unità non Lo limita e perciò può apparire come molteplicità quando lo desidera. Al di fuori della manifestazione cosmica, Dio trascende le definizioni e non può essere descritto né come uno né come i molti, è limitato e illimitato, uno senza secondi, e tutto ciò che viene percepito è Dio. Questo è l’insegnamento delle Upanishad che asseriscono anche che è il limitato e l’illimitato, uno senza un secondo e qualsiasi cosa ci percepisca non è altro quello che di solito definiamo con il termine Dio o Coscienza. Il mondo manifesto è il gioco della Sua consapevolezza nel suo aspetto infinito, e quindi è reale anch’esso. Non esiste atro all’infuori della Coscienza. Tutto è Dio.
Il Brahman non può essere spiegato attraverso delle parole e neppure concepito dalla mente. Non può essere descritto, essendo al di là di ogni descrizione. Può essere espresso soltanto dal termine sat-cit-ānanda, esistenza, consapevolezza e beatitudine. È sia personale che impersonale.
È chiamato antaryami, l’Anima delle anime, e anche l’energia creativa, prakriti, poiché solo l’Assoluto detiene il potere interiore immanente. Essendo trascendentale, trascende l’universo. È il creatore, il sostenitore e il distruttore di questo universo, e in queste funzioni è rappresentato simbolicamente da Brahma, Vishnu e Shiva rispettivamente. È l’origine di tutto e la fine di tutto; l’oggetto della devozione e l’ispiratore della moralità. In breve, Dio è il tutto.
Sandra - Sono l’Assoluto o vengo usata come uno strumento da Dio?
Paramahamsa Prajnanananda - Dipende dall’identificazione: se ti identifichi con il corpo e con la mente, sei uno strumento, un oggetto. In realtà noi non siamo un’onda individuale di consapevolezza separata dal mare della Coscienza Cosmica, ma siamo l’oceano stesso della coscienza; ci consideriamo onde individuali soltanto a causa dell’ignoranza. Lo spirito di Dio è diventato uomo, e quindi l’uomo è l’oceano della Coscienza Cosmica, Dio stesso. La vera natura dell’uomo è questo Sé onnisciente, il testimone immutabile dei cambiamenti del corpo, della mente e del mondo esteriore. Il Sé è l’unico fattore costante nell’uomo e integra tutti i fattori fisici e psichici in un tutto coerente, coordinando le diverse funzioni del corpo, della mente e degli altri organi. Mantiene l’identità dell’uomo nonostante tutti i cambiamenti nei mondi esteriori e interiori. L’uomo è essenzialmente spirito, luminoso e autosufficiente. La Kena Upanishad (1:2) afferma: “È la Vita di ogni vita”.
Questo vero Sé rende una persona consapevole della propria individualità e della pluralità del mondo. È questa consapevolezza che distingue gli esseri senzienti da quelli non senzienti. È auto-evidente e non necessita di alcuna prova. L’immortalità del Sé, dell’atma, viene descritta dettagliatamente nella Gita. La conoscenza dell’immortalità del Sé dissolve ogni paura della morte, poiché la paura della morte non è altro che un aggrapparsi all’ego con tutte le conseguenze di ansietà, paura e sofferenza. Il desiderio di piaceri mondani, che porta alla reincarnazione del Sé, può essere superato attraverso la conoscenza e la scomparsa dei desideri conduce all’immortalità. L’immortalità del Sé può essere realizzata nella meditazione attraverso la tecnica scientifica del Kriya Yoga: questo è il paradiso interiore.
Sandra - Una domanda molto comune: cos’e’ la morte?
Paramahamsa Prajnanananda - La morte non è la fine di un individuo, proprio come la nascita non è il suo inizio. Cos’è allora la morte? L’evento della morte significa che il Sé (insieme al corpo sottile che comprende la mente con tutte le sue impressioni) lascia il corpo fisico e in quel momento le impressioni mentali diventano i semi di nascite future. A decidere la nascita futura è l’ultimo pensiero che affiora prima di morire, dato che ogni pensiero, e quindi anche l’ultimo, è modellato dai desideri predominanti nel corso della vita, perciò i desideri sono la radice della nascita e della morte.
Sandra - Cosa nasconde la nostra realtà?
Paramahamsa Prajnanananda - Le differenti onde che sorgono nella memoria (chitta) nascondono il Sé, ma è possibile percepire un tenue riflesso del Sé in queste onde che lo ricoprono. Queste onde sono i samskara (la somma delle impressioni delle nostre azioni passate). La vera natura del Sé non può essere realizzata fintanto che rimane anche una sola onda nel lago della memoria, chitta. Non appena tutte le onde si placano, lo yogi raggiunge il nirvikalpa samadhi o lo stato di assenza di semi karmici, un livello a cui si arriva quando le azioni non formano più impronte nel subcosciente e quindi cessano di costituire dei legami. In questo stato tutti i veli si sollevano, si percepisce il Sé che risplende nella Sua stessa gloria e si comprende che non è un aggregato di elementi, bensì l’eterna base dell’essere. Poiché eterno, il Sé non può nascere né morire: è immortale, indistruttibile, è l’essenza imperitura dell’intelligenza.
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